In memoria dei Giusti tra le Nazioni.

 

Il 27 gennaio, Giorno della Memoria, l’Associazione TeS ha presentato agli allievi delle terze classi della scuola Media di Trezzano Rosa “I Giusti Tra le Nazioni nell’ora delle difficili scelte”. Riportiamo qui una delle letture proposte ai ragazzi per l’occasione: è un brano tratto dal libro “Un sacchetto di biglie” di Joseph Joffo, che racconta l’incontro con un Giusto di due ragazzini ebrei in fuga.

 

In quel periodo, oltre alle notizie di guerra, ne arrivavano anche altre, sull’intensificazione della caccia agli Ebrei.

Ho bene in mente la sera prima della mia fuga: papà appende il camice al gancio dietro la porta della cucina. Prima che ci sediamo a tavola, ci ispeziona. Affonda il cucchiaio nella pasta e si strappa un sorriso che fatica ad arrivargli alle labbra. “Niente scuola, questo pomeriggio” dice. Maurice e io lasciamo cadere i cucchiai…

“Questo pomeriggio siete liberi, ma rientrate prima che sia notte, ho qualcosa da dirvi”. Abbiamo girovagato tutto il giorno. Poi Maurice ha detto improvvisamente: “Dobbiamo tornare a casa, sta venendo sera.”

Appena rientrati a casa, papà si mise a sedere. Maurice e io ci sistemammo davanti a lui. Allora incominciò un monologo che sarebbe risuonato a lungo alle mie orecchie, e che vi risuona ancora.

“Avete visto che i tedeschi sono ogni giorno più duri con noi. C'è stato il censimento, il cartello e le irruzioni nel negozio: oggi la stella gialla e domani saremo arrestati. Quindi bisogna scappare.” Ho sussultato.

“Partite stasera: dovrete passare la linea di demarcazione. Naturalmente non avrete documenti per passarla, ma dovrete cavarvela in qualche modo.”

Infine disse: “Bisogna che sappiate una cosa. Voi siete ebrei ma non confessatelo mai. Mi avete sentito? : MAI. Non lo direte al vostro migliore amico, non lo mormorerete nemmeno sottovoce, negherete sempre. Mi avete sentito bene : sempre”.

Più tardi la mamma ci ha aiutati a infilare i capotti, ad annodarci le sciarpe. Le sue lacrime scendevano e ho sentito le sue guance umide contro la mia fronte. Papà l'ha tirata su e si è messo a ridere, il riso più falso che abbia mai sentito.

“Adesso filate, a presto ragazzi.” Un bacio e le sue mani ci hanno spinto verso la porta. Nella notte senza luce, nelle strade deserte dell'ora in cui stava per incominciare il coprifuoco, sparimmo nelle tenebre. ERA FINITA L'INFANZIA…

Siamo arrivati così alla stazione. Ricordo come se fosse adesso: pochi treni in partenza, ma i marciapiedi sono invasi. Chi è tutta questa gente? Ebrei anche loro? Prendiamo i biglietti per Dax. Nessuno fa caso a noi, due ragazzini sballottati dalla folla. Ci siamo, ecco il treno…

Dagli sportelli si vedono mucchi di valige, di sacchi; dappertutto c’è la stessa folla. Fino a Dax possiamo stare tranquilli. A Dax c’è un controllo tedesco da superare. Non devo ancora pensarci, dormirò, proverò almeno. Mi giro e un uomo, che ha il viso illuminato appena dalla lampada, mi guarda. E’ molto serio, con la tristezza di chi non riesce a sorridere. Ha uno strano colletto, dei bottoni fitti: è una tonaca e questo mi rassicura, non so bene perché. So che mi addormenterò in questo treno, che mi porta verso la vita o la morte, sotto la protezione di quel vecchio: non ci siamo detti niente, ma ho avuto l’impressione che sapesse tutto di me. Era là e vegliava.

Dax. Il nome è schioccato nelle mie orecchie come un colpo di frusta. I freni del treno sibilano, le ruote scivolano ancora qualche metro sui binari e poi si fermano. Mi guardo attorno: il corridoio è quasi vuoto. Molti sono saltati in corsa mentre il treno rallentava. Ma il prete è sempre lì.

L’altoparlante risuona, c’è una lunga frase in tedesco e improvvisamente li vedo; sono una decina sul marciapiede, attraversano i binari e vengono verso di noi. Sono gendarmi tedeschi. Maurice mi prende il braccio: “Entra nello scompartimento”. C’è un posto vuoto accanto al prete. Ci guarda, anche lui pallido.

Accanto al finestrino una signora molto magra stringe in mano il suo lasciapassare; vedo il foglio che tremola, ci sono dei timbri al centro, delle firme. Come ci si deve sentir bene a tenere tra le dita un’autorizzazione!

Alt! Il grido viene da fuori e ci precipitiamo al finestrino: laggiù c’è un uomo che corre. Sono una decina che si sparpagliano tra i binari. Un civile dà ordini in tedesco: Alt! Actung!

Uno dei fuggiaschi si ferma a un colpo di arma da fuoco. Anche gli altri sono stati presi laggiù: il giorno illumina gli elmetti e i fucili. Solo allora mi accorgo che la mano del prete è posata sulla mia spalla. Torniamo ai nostri posti. I tedeschi bloccano le uscite. Le parole vengono da sole alle mie labbra: “Signor curato, non abbiamo documenti”. Mi guarda e per la prima volta da che siamo partiti, un sorriso gli distende le labbra. Si china e fatico a comprendere il suo sussurro: “Mettetevi vicino a me”.

“Documenti!”. Il prete si alza, presenta i suoi documenti e torna a sedere dicendo “I bambini sono con me”. La porta si è richiusa.

Le mie ginocchia hanno cominciato a tremare. Il prete si alza: “Adesso si dovrebbe poter scendere e dato che siete con me, andremo a fare colazione al bar della stazione”. Ora il curato pare contento. “Prenderemo caffè e latte con pane”.

Tossicchio per schiarirmi la voce: “Prima di tutto la ringraziamo per quello che ha fatto per noi”. Il prete resta un attimo interdetto: “Ma che cosa ho fatto?” E Maurice continua: “Ha mentito per salvarci, dicendo che eravamo con lei”. Scrolla la testa per negare: “Non ho mentito” mormora, “Eravate con me come lo sono tutti i bambini del mondo”. C’è un istante di silenzio, poi il prete chiede: “E adesso dove andate?” “Cercheremo di passare la linea di demarcazione”.

Beve, posa la tazza e non fa più domande. Poi tira fuori dal portafogli un foglietto e con una matita consumata scarabocchia un nome, un indirizzo e ce lo porge. “Se riuscirete a passare, mi farà piacere saperlo. E poi se un giorno avrete bisogno di me, non si può mai sapere, potrete scrivermi.” …

“Noi andiamo Signor curato”. Ci guarda mentre mettiamo a tracolla le nostre sacche.

“Avete ragione bambini, bisogna andare svelti: in certi momenti della vita, è necessario". Ci tende la mano e gliela stringiamo per salutare.

 

Dal 1962 una commissione guidata dalla Suprema Corte israeliana ha avuto l’incarico di conferire il titolo di “Giusto tra le Nazioni” a coloro che, secondo testimonianze e documentazioni accertate, sono riconosciuti come coraggiosi salvatori di ebrei, in ognuna delle Nazioni in cui fu messa in atto la Shoah. Fino ad oggi i Giusti riconosciuti sono oltre 23000: è un numero considerevole che ci rende fiduciosi nei confronti dell’Umanità. Ai ragazzi della scuola abbiamo parlato dei “Giusti” non soltanto per ricordare, ma per dare una nota di speranza al futuro: è un modo di “fare Memoria per l’avvenire” perché, come scriveva Cicerone, “Historia magistra vitae”. La Storia è maestra di vita, nel male come nel bene.

 

 

            

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