La Banalità del Male

A Trezzano Rosa in Villa Ida, Sabato 30 Gennaio, per la Giornata della Memoria dedicata ai "Giusti tra le Nazioni", l'associazione TeS ha parlato non solo dell'opera dei Giusti, ma anche del tema della "banalità del male", proponendo al pubblico intervenuto questo testo:

"A volte nella Storia interi popoli si sono resi corresponsabili di crimini contro l’Umanità. Questo fu ampiamente dimostrato dalla filosofa tedesca di origine ebraica Hannah Arendt, in un libro intitolato "La banalità del male".
Il saggio contiene i resoconti del processo ad Adolf Eichmann, gerarca nazista catturato nel 1960, processato a Gerusalemme nel ‘61 e condannato a morte.
All'epoca il processo suscitò molte polemiche, anche perché Eichmann non era stato arrestato legalmente, ma fu rapito dai servizi segreti israeliani in territorio argentino e fatto passare clandestinamente in Israele.
L’imputato, nato in Renania nel 1906, fu uno studente mediocre e, ritiratosi dalle scuole superiori, lavorò con il padre come minatore; poi, per raccomandazione di uno zio, fu rappresentante di una compagnia petrolifera austriaca.
Nel ’32 entrò nel partito nazista austriaco, seguendo semplicemente il consiglio di un amico: <Mi chiese “Perché non entri anche tu nel partito nazista?” e io risposi “già, perché no?”>.
Non conosceva nulla del partito nazista, non aveva nemmeno letto il Mein Kampf (La mia battaglia) di Adolf Hitler.   Ritornato in Germania, fu spinto da un ufficiale di sua conoscenza ad intraprendere la carriera militare.
Eichmann aveva vissuto la sua vita per inerzia: guidato dal padre, dalle amicizie, dalle situazioni. Era pericolosamente privo di iniziativa personale.
Diventato funzionario delle SS, gli fecero leggere 2 libri (Lo Stato ebraico e Storia del sionismo), e questo bastò a farlo nominare “esperto in questioni ebraiche”.
In un contesto come quello delle leggi razziali naziste, egli si prefiggeva di “aiutare gli ebrei a fondare un loro Stato” organizzandone l’emigrazione forzata.
Adolf Eichmann era un uomo incoerente, che parlava per frasi fatte: quanto poco si rendesse conto di quel che diceva, risultò dalla deposizione in cui si dichiarò “salvatore del popolo ebraico”, in quanto aveva fatto espatriare centinaia di migliaia di ebrei, che altrimenti sarebbero stati eliminati.
Durante il processo Eichmann riferì che nell’estate del ’41 era stato messo al corrente delle decisioni del Führer riguardo alla questione ebraica, rimanendo sconcertato dopo aver capito che, dietro termini quali “soluzione finale” e “lavoro all’est”, si celava in realtà lo sterminio.
Un’altra prova dell’assoluta normalità di quest’uomo è il fatto che quasi svenne quando gli fu mostrata un'esecuzione, e da allora evitò di recarsi all’interno dei campi di concentramento.
Ma dopo una conferenza in cui fu spiegato ai ministri come Hitler volesse procedere contro gli ebrei, Eichmann ne uscì rinfrancato: si convinse che, dopotutto, se quella gente così rispettabile si era dimostrata favorevole alla proposta, non spettava a lui giudicarla. Sapeva quindi il destino degli ebrei da lui deportati, ma non fece nulla per impedirlo.
Incaricato dell’ “evacuazione dei ghetti”, organizzava il trasporto degli ebrei, i quali accettavano senza ribellioni, tranquillizzati dai capi delle comunità ebraiche. Il suo ”lavoro” consisteva nel pianificare gli spostamenti verso i campi di concentramento, con la massima efficienza, in modo da portare a termine l’EPURAZIONE nel più breve tempo possibile.
Il colonnello Adolf Eichmann, alla fine della guerra fu catturato dagli Alleati, ma riuscì poi a fuggire in Argentina sotto falso nome. Qui si fece raggiungere dalla moglie e dai figli e divenne capomeccanico alla Mercedes di Buenos Aires.  Ma non perdeva occasione per rivivere i fasti del Reich e accettò persino di farsi intervistare da un ex-SS. E quando si rese conto di essere pedinato dai servizi segreti israeliani, si lasciò catturare senza opporre resistenza.
La sentenza lo riconobbe responsabile di crimini contro l’umanità. Fu accettata la tesi secondo cui Eichmann avrebbe solo reso possibile lo sterminio degli ebrei, senza   averlo attuato personalmente.
Questo è il punto fondamentale per capire come sia stato possibile l’Olocausto: nessuno era responsabile, o meglio, nessuno si sentiva responsabile. Eichmann stesso si sentiva vittima di un'ingiustizia, ed era convinto di pagare per colpe altrui: dopotutto, lui era solo un burocrate che faceva il proprio lavoro, ed incidentalmente, questo coincideva con un crimine.
La sentenza sul caso Eichmann, punito pur non avendo violato alcuna legge in vigore, fu molto discussa e diede occasione di riflettere sulla natura umana. Eichmann tutto era, fuorchè un uomo anormale: era questa la sua caratteristica più spaventosa.
Sarebbe stato meno temibile un mostro disumano, perché quel che diceva Eichmann e il modo in cui lo diceva, non faceva altro che tracciare il profilo di una persona che sarebbe potuta essere chiunque.
Le giustificazioni addotte al processo per le “azioni compiute per ordine superiore”, furono respinte perché, come disse la corte, “agli ordini manifestamente criminali non si deve obbedire”, secondo un comune principio esistente nel Diritto di ogni Paese.
Ma come si può distinguere il crimine quando ci si trovi di fronte a un massacro organizzato da uno Stato?
Eichmann – pronto a legittimare gesti orribili, se voluti da gente che riteneva superiore – si comportò come la maggior parte dei tedeschi: alla fine della guerra molti dichiararono infatti di essere sempre stati “interiormente contrari” alle soluzioni naziste, ma di aver messo da parte le proprie convinzioni personali. La loro morale era data dalla società che avevano intorno, e le incertezze venivano presto sostituite dai principi che il Führer propagandava.
E l’Olocausto fu uno dei casi più eclatanti nella Storia dell’Umanità, in cui la superficialità del comportamento sociale ha reso banalmente possibile il Male."

"Meditiamo che questo è stato",  impegnandoci per dare un'impronta diversa al futuro.

 

 

            

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