2019: anno no-plastica.
E’ arrivato l’anno 2019 e, come ogni anno, ci auguriamo pace, prosperità e fortuna.
Ma essendo aumentata la coscienza dei problemi ambientali ci auguriamo anche un serio impegno a livello globale nell’affrontare i cambiamenti necessari a salvaguardare la Terra e la salute. Accenneremo qui solo ad uno dei tanti argomenti riguardanti le criticità ecologiche: quello dei rifiuti derivati dalla “plastica”.
Il 2019 è nato all’insegna della lotta alla plastica. In Italia infatti dal primo gennaio di quest'anno, è vietato produrre e vendere cotton fioc non biodegradabili e compostabili, cioè con il bastoncino in plastica. I produttori dovranno anche indicare sulle confezioni le regole per un corretto smaltimento, soprattutto il divieto di gettarli nel wc. Pochi giorni fa inoltre l’Unione europea ha deciso di vietare una serie di oggetti di plastica usa e getta, fra i quali i cotton fioc, ma solo dal 2021.
La storia della plastica risale alla seconda metà dell’800; con la scoperta del nylon nel 1935 l’utilizzo di fibre sintetiche si diffuse in tutti i settori industriali per la produzione di beni di consumo, favorito dall’aumento dell’estrazione di idrocarburi, dallo sviluppo tecnologico e dalla conseguente riduzione dei costi di trasformazione del petrolio. E oggi, con varie formule chimiche (come il PET o il poliestere), la “plastica” è parte della nostra quotidianità. Con i problemi che conosciamo:
1) non è un materiale biodegradabile
2) è fonte di inquinamento per il suo cattivo smaltimento.
Solo in Europa il settore della plastica è un business da oltre 340 miliardi di Euro all’anno, che si traduce in quasi 26 milioni di tonnellate di rifiuti. Per non parlare degli enormi quantitativi prodotti dalle altre grandi potenze industriali, prima fra tutte la Cina. Le conseguenze sono drammatiche: isole di rifiuti che galleggiano nei mari, come quella che vaga nell’Oceano Pacifico, composta da 80.000 tonnellate di plastica e grande 3 volte la Francia.
Infatti i rifiuti di plastica, che troviamo in abbondanza anche sulle spiagge, possono rimanere per centinaia di anni nell’oceano e, seguendo le correnti marine, tendono a concentrarsi in grandi ammassi. Il guaio è che la plastica non scompare, non si decompone, ma si disintegra in pezzi di microplastica. Così pesci, anfibi e uccelli marini muoiono a migliaia confondendo questi pezzi microscopici con cibo. Recenti ricerche studiano l’impatto delle microplastiche a livello ambientale e ne hanno rilevato tracce nel pesce, che poi finisce sulle nostre tavole, e persino nel sale marino che usiamo in cucina.
Esiste però un progetto chiamato Ocean CleanUp, attivo dal 2013, che ha l’obiettivo, attraverso innovative tecnologie, di eliminare almeno il 50% della plastica intrappolata nei vortici del Pacifico. Questa operazione, se da un lato vanta numerosi sostenitori, dall’altra vede scienziati che ne mettono in discussione l’utilità, dal momento che il sistema di filtraggio non funzionerebbe per le microparticelle di plastica (troppo piccole per essere filtrate), e potrebbe danneggiare gli organismi marini planctonici. Inoltre la maggior parte dei rifiuti plastici si trova lungo le coste e non in mezzo all’oceano. Ripulire mari e oceani potrebbe quindi non essere sostenibile e di certo non rappresenta la soluzione definitiva al problema.
Quale dovrebbe essere allora la via da percorrere? Un’efficiente gestione dei rifiuti , in modo da evitare che tonnellate di plastica si riversino nel mare, un’economia circolare, capace di migliorare il ciclo produttivo, l’uso ragionato della plastica, riducendo gli sprechi, potrebbero dare un grosso contributo alla causa.
Negli ultimi anni hanno scoperto le bioplastiche, a minore impatto ambientale, create dalla trasformazione dei polimeri derivati dal mais ed altre specie vegetali.
Ma se da un lato abbiamo risolto il problema della degradabilità, dall’altro ne abbiamo creati di nuovi, come la trasformazione di terreni destinati alla produzione alimentare in terreni destinati a scopi “industriali”.
E allora risulta importantissimo agire a livello individuale in modo da ridurre l’impatto dei materiali di scarto sull’ambiente, cambiando le nostre abitudini. Come? Applicando i principi delle 4 R.
– Ridurre: non sprecare, diminuire quanto più possibile l'uso (e conseguentemente la produzione) di materiali potenzialmente inquinanti o di difficile smaltimento, acquistare prodotti con meno imballaggi, usare borse in stoffa, batterie ricaricabili…
– Riusare: scegliere il vuoto a rendere (o a riempire), il vetro al posto della plastica…
– Riciclare: selezionare i rifiuti, adottando scrupolosamente la raccolta differenziata…
– Recuperare: produrre oggetti diversi dalla loro funzione originale, inventare nuovi utilizzi... ma soprattutto favorire il recupero delle materie prime.
A onor del vero gli abitanti di Trezzano Rosa sembrano aver recepito la necessità assoluta del rispetto dell’Ambiente , visto che hanno contribuito a far diventare il Paese uno dei Comuni “Ricicloni”. Ma bisogna incrementare le buone abitudini “ecologiche”, anche per garantire la salute. Dunque per il 2019 ci auguriamo di diventare sempre più ecologicamente coscienti e rispettosi della Natura.
Sull'argomento "isole di plastica" puoi vedere questo video:
https://www.youtube.com/watch?v=ZgRsgmWTIJQ
e per una lettura sull'Economia circolare si consiglia:
"Rifiuti zero" di Rossano Ercolini (Nobel per l'Ambiente)