Se gli impianti di produzione di biogas sono grandi anche la cosiddetta “energia pulita” inquina.  

In seguito alla recente diffusione della notizia che nel vicino Comune di Masate potrebbero presto essere realizzati impianti industriali per la produzione di Biogas (secondo un progetto in via di approvazione dopo l’iter burocratico di legge), l’associazione TeS - Tempo e Spazio vuole dedicare un articolo del sito a questo argomento di rilevante importanza per il nostro territorio, riportando alcune considerazioni non tanto riguardo allo specifico progetto di Masate,  ma sulla generica "questione biogas".

Il biogas, considerato fonte energetica rinnovabile, può creare problemi. E’ innegabile che produrre biogas oggi è diventato un business, con speculazioni permesse dalla legge e incentivate con i soldi pubblici. Per questo negli ultimi anni gli impianti per la produzione di biogas spuntano come funghi, specialmente nel nord Italia, dove ce ne sono già più di 1900. Nella Pianura Padana ha sede più del 70 per cento degli impianti a biogas italiani, ma nonostante ciò in Lombardia, che è la regione con l'aria più inquinata d'Europa per l’alta concentrazione di polveri sottili, si continua ad autorizzare la costruzione di centrali di biogas.
Per il funzionamento questi impianti utilizzano liquami, fanghi, rifiuti organici e sottoprodotti agricoli e industriali, ma anche prodotti di colture alimentari. Originariamente erano stati studiati per rendere energeticamente indipendenti grandi aziende agricole, trasformando in energia i loro scarti di coltivazione e le deiezioni degli allevamenti. Ma poi si è passati alla progettazione di grandi impianti, non più sostenibili, tramite i quali si produce biogas da cui ricavare biometano e/o energia vendibili a un prezzo vantaggioso, grazie ad incentivi garantiti dallo Stato. In questo modo i cittadini pagano due volte il gas o l' elettricità (sia per produrli che per consumarli). Un impianto per la produzione di biogas diventa un investimento ammortizzabile in pochi anni, che in seguito darà ai produttori una rendita consistente.
I "digestori" degli impianti si presentano come grandi cupole in cui si immettono le biomasse (ad es. da liquami zootecnici, fanghi, scarti alimentari, agricoli e industriali ecc.) affinché siano trasformate da batteri. Nel processo viene rilasciato biometano che può essere immesso in rete come tale oppure alimentare un generatore di energia elettrica e calore. Il "digestato" prodotto è invece utilizzabile come concime nei campi. In teoria il ciclo sarebbe virtuoso se l'impianto fosse piccolo, confinato all'interno di un ciclo aziendale. Ma considerando gli incentivi e il prezzo del gas o dell'energia prodotta, è diventato conveniente fare impianti grandi da parte di società e consorzi (non solo di agricoltori). Le procedure per le autorizzazioni seguono un iter burocratico che la maggior parte dei cittadini apprende soltanto quando ormai i progetti sono in fase di approvazione. E l'assenza di norme più restrittive permette che si autorizzino impianti anche in aree già ben oltre i limiti accettabili di "stressor" ambientali (impianti industriali, traffico elevato, inceneritori, discariche ecc.). 
Molti impianti attualmente in uso sono rumorosi, maleodoranti e non privi di emissioni nocive.  Inoltre in vicinanza di impianti attivi si sono verificati episodi di inquinamento delle falde acquifere (per sversamenti di liquami), che in certi casi hanno portato al divieto di utilizzo dell’acqua anche a distanza di alcuni chilometri dall’impianto, e ad altre problematiche ambientali. Per fare un esempio, una contaminazione da sversamenti nel terreno richiede opportune bonifiche della durata anche di 10-15 anni, per ripristinare il terreno nelle condizioni originarie. In Italia inoltre si sono anche verificati alcuni incidenti con incendi ed esplosioni, che per fortuna non sono stati gravi quanto altri casi all’estero. Oltre a questi motivi di preoccupazione, bisogna poi considerare il problema della sostenibilità, poiché i grandi impianti necessitano di trasporti di "materia da digerire” (non prodotta in loco), con aumento di traffico su ruote e delle relative emissioni di polveri sottili. C'è poi un impatto sul consumo di suolo agricolo perché in alcuni casi il dover produrre gas o energia per ammortizzare i costi degli impianti, può indurre a coltivare derrate alimentari destinate ai digestori, con uso esagerato di fertilizzanti e antiparassitari, inquinando e minando la fertilità del suolo.
Gli svantaggi non si limitano alle problematiche ambientali, ma riguardano anche la salute delle persone. Le immense quantità di digestato prodotto dalle centrali contengono composti azotati in esubero  e metalli che si accumulano nei terreni dove i digestati vengono ripetutamente sparsi in abbondanza; e se nelle vicinanze ci sono falde acquifere, queste vengono inquinate in modo tale da rendere l'acqua dannosa per la salute.  Si è anche ipotizzato che le contaminazioni da batterio escherichia coli, che per un certo periodo hanno paralizzato il mercato dell' ortofrutta proveniente dalla Germania, siano state causate dalla diffusione di digestati da biogas non ben "puliti". Infatti per evitare contaminazioni la Svezia per prima ha obbligato a pastorizzare i liquami in ingresso e i concimi in uscita dalle aziende. Mentre in Italia, considerato che i terreni trattati abbondano di miceti, spore e batteri anaerobi, a scanso di danni, la Regione Emilia Romagna ha vietato lo spandimento di digestati provenienti da impianti per biogas nelle terre dove si produce il Parmigiano Reggiano. 
E’ anche necessario sottolineare che, mentre con altri tipi di impianti (per esempio fotovoltaico) gli eventuali danni vengono subiti dagli stessi imprenditori, nel caso del biogas invece i problemi diventano della collettività e del territorio circostante l’impianto.
Per queste ragioni moltissimi cittadini sono convinti della necessità di opporsi all’impianto di nuovi digestori per la produzione di Biogas, specialmente dopo i casi italiani di dimostrata correlazione tra affari politici e una lobby economica-affaristica del biogas. Ci riferiamo come esempio al grande “affare degli incentivi pubblici” nelle Marche, legati agli impianti di biogas, che ha coinvolto politica e grandi imprese. 
Oggi molti cittadini italiani, venendo a conoscenza di imminenti nuove costruzioni di grandi impianti per la produzione di biogas, cercano di opporsi a decisioni spesso prese a loro insaputa, o quasi, data la scarsa informazione al riguardo.
Per questo in Italia sono sorti tanti comitati locali che si oppongono al biogas, o almeno richiedono che sia fatto in maniera ridotta e misurato su un discorso di salvaguardia ambientale del territorio. I Comitati si riuniscono in coordinamenti regionali e chiedono nuove regole, più restrittive. Pretendono che gli incentivi siano concessi esclusivamente dove il biogas rappresenti una vera energia pulita, che utilizzi gli scarti agro-alimentari e la frazione organica dei rifiuti generati in zona, già diminuiti da opportune politiche di riduzione alla fonte dei rifiuti urbani, attraverso l'educazione ambientale e strategie atte ad incrementare le scelte di tipo ecologico. E se, per chiudere il ciclo dei rifiuti che produciamo, proprio non se ne può fare a meno, vogliono che gli impianti non siano sovradimensionati o progettati con tecnologie già obsolete (ancora "a umido" anzichè "Dry") e siano ben lontani dalle aree residenziali, per non compromettere la qualità della vita e non danneggiare la salute e l’ambiente.